LinkedIn Ads

Piccolo sfogo.
Per MOCA, con l’occasione di un evento e con l’obiettivo di raccogliere dei partecipanti, ho attivato una campagna su LinkedIn.

Mi aspettavo, ad un certo punto, un report automatico di rendicontazione che individuasse qualche motivo per spingermi ad investire di più (sensazione dettata, evidentemente, dalla mia lunga relazione con Google).
Quel report è arrivato. Via mail.
Eccone un estratto.

LinkedIn Ads Email Riassunto

Ora, dal mio punto di vista, poiché anche LinkedIn ad un certo punto dovrà capire come monetizzare di più, penso si dovrà mettere nelle condizioni di approcciare il tema in maniera più qualitativa e meno automatizzata; non chiedo una proiezione sul mio caso qualora dovessi raddoppiare il budget giornaliero, ma anticiparmi un banale x2…

Tracking ed osservazione per attivare delle azioni

Porsi degli obiettivi non è per nulla scontato e banale.
Identificare degli indicatori di performance (KPI) non è facile.
Osservarli con costanza è difficilissimo.
Essere pronti a reagire sulla base di fenomeni osservati, beh, questa è un’altra storia. Solo che bisogna farlo; allora tanto vale mettersi nelle condizioni migliori per ambire a farcela.

In tal senso, secondo me, ha un peso determinante il terzo punto: monitorare le KPI. Monitorarle con perseveranza.
Ed è altrettanto determinante dotarsi di un sistema di tracking friendly: viene tutto più facile.
L’usabilità della piattaforma e l’accessibilità del dato, in tal senso, sono fattori fondamentali.

Se si riesce ad installare un sistema di lettura delle KPI facile ed accessibile, allora viene più facile quella costanza che poi rappresenta un gradino fondamentale per attivarsi e compiere delle azioni.
Vero che non vale per tutti ma nel contesto del marketing, dove spesso i goal sono impalpabili o di alto livello (fatturato), secondo me funziona.

Vi racconto una storia.
A gennaio mi sono messo in testa di voler perdere un po’ di peso.
Mi sono dotato di uno strumento che mi ha reso facile l’input del dato e la lettura del progresso.
Tale task è entrato nella mia quotidianità ed ha contribuito a farmi stare più attento a ciò che mangio perché so che la mattina la bilancia dice la verità, tutta la verità.
Mi sono pesato con costanza per 189 giorni (con poche eccezioni) e sto continuando.
Ed ho perso 7kg.

Tracking iPhone app

Lo screenshot dice 5kg perché quell’ultimo picco in aumento rappresenta un soggiorno di cinque giorni in Salento e l’addio al celibato. :)

 

Ecommerce: il fenomeno visto da me

L’ecommerce è indubbiamente uno dei trend più forti degli ultimi mesi.
Se ne parla tanto. Se ne parla pure troppo.
E come spesso succede, quando c’è un interessamento morboso verso l’argomento la risultante è che si abbassa un po’ il livello qualitativo.
Anche delle richieste.
Ciò che ho osservato, dalle occasione che mi sono capitate, è che nell’ecommerce si intravedono, tra tante, anche queste opportunità/desiderata:

. chiudere (finalmente) il negozio (offline);
. abbattere i costi (quelli che però già si conoscono);
. abbandonare quella maledetta famigerata rete commerciale (e, giustamente, ridurre la filiera);
. non avere più a che fare con i clienti (illusi; i negozianti).

Troppo spesso, ahimé, la discussione con l’interlocutore di turno si conclude con un passo indietro da parte sua: ho capito, non fa per me.
Perciò è vero, ammazziamo tanti ecommerce sul nascere.
Però, riprendendo Gianluca Diegoli, è anche vero che tutto si venderà online e non tutti venderanno online.

Speriamo sia piuttosto uno spunto di riflessione per ritrovare gli antichi stimoli che c’hanno fatto aprire un’azienda.

KPI: tre considerazioni

1. L’attività a supporto di una promozione (es. ufficio stampa) ha una KPI (es. esposizione) diversa rispetto a quella macro dell’azienda (es. fatturato).
2. Gli indicatori ricalcano la gerarchia aziendale e prendono forme differenti tra loro tenendo a riferimento sia i dipartimenti (competenze) che i responsabili (know how).
3. Nella valutazione di un’attività è determinante individuare la KPI giusta altrimenti sale il livello di frustrazione dovuto al fatto che “quel numero” non mi sta facendo capire davvero come sono andate le cose o, peggio e più di frequente, mi sta descrivendo uno scenario peggiore.

Facebook: stesso utente, due punti di vista

Siamo *tutti* su Facebook.

E quando pensiamo ai noi stessi nei termini di “perché mi sono iscritto?” o “perché ci entro x mila volte al giorno?“, trovo una certa ridondanza di concetti quali “ca**eggio” e “farmi i ca**i degli altri“.

Quando pensiamo agli utenti di Facebook nel momento in cui invece indossiamo i panni di un’azienda e del relativo ufficio marketing, iniziamo a pensare che questi in realtà stiano all’interno del social solo ad aspettare morbosamente i nostri contenuti aziendali, le nostre offerte commerciali, le nostre iniziative supermegafantafigose.

Curiosa ‘sta cosa.

Email marketing: approccio al contenuto (ed all’utente)

Sono tornato sull’argomento email marketing: lo sto riscoprendo e studiando più approfonditamente. Principalmente per due ragioni:

. Il mio punto di vista in merito all’argomento “big data” (che introduco tra qualche riga);
. l’occasione di una collaborazione con Mentine (in particolare con Rosario Toscano) per un progetto che ci vede coinvolti entrambi.

La mia posizione, semplificata, sul tema “big data” (senza soffermarmi troppo sull’aggettivo “big”):

. penso che tutte le informazioni fornite dai servizi di terze parti non siano regalate bensì siano in affitto (spesso dietro compenso);
. penso che un’azienda si debba preparare qualora il prezzo per le informazioni sui fan diventi troppo alto o, peggio, Facebook chiuda del tutto i battenti (oggi ci sembra impossibile ma i primi quindici anni di internet ci hanno insegnato che c’è una certa ciclicità quasi per tutto);
. penso che si debba tornare a dare valore all’email quale (a) canale diretto di comunicazione con il singolo utente (b) opportunità di conoscere più approfonditamente il consumatore attuando strategie win-win: io, azienda, ti regalo qualcosa e tu, utente, mi racconti qualcosa di te che ancora non so.

Credo però che contemporaneamente a queste riflessioni debba essere ribaltato un paradosso che, ahimé, ritrovo troppo spesso nelle aziende e che ha a che fare con l’approccio al contenuto.

Ritrovo più attenzione ed anche più timore (grazie web 2.0!) verso quei contenuti che sono destinati al sito web piuttosto che a quelli dedicati alla newsletter o ad altre attività di email marketing.
La spiegazione è semplice: il sito web è uno spazio pubblico mentre la newsletter ha un’aurea più privata, per tanto, se si sbaglia qualcosa, ci si sente più tranquilli a commettere l’errore a “casa propria”.
Niente di più sbagliato.

Questa è la manifestazione dell’approccio quantitativo che vince su quello qualitativo ed è il paradosso di cui sopra che deve essere ribaltato.
Mentre in relazione al sito web non posso avere l’assoluta certezza di chi fruisce il contenuto pubblicato, per la newsletter ed i suoi iscritti so, come minimo, l’email (arrivando in alcuni casi ad informazioni ben più approfondite).
E va tenuto in mente anche un dettaglio in più: questi indirizzi email non sono piovuti dal cielo bensì ci sono stati regalati dagli utenti (in molti casi quelli fidelizzati); è per tale ragione che quando si pensano i contenuti, ad esempio per la newsletter, bisogna sempre ricordarsi che stiamo comunicando con i nostri migliori utenti in assoluto.

Ah, se volete iniziare a smanettare con una piattaforma di email marketing, vi consiglio questo strumento qua.

Quella parte di ROI che se ne va. Ma poi torna.

Una volta c’era “Half the money I spend on advertising is wasted; the trouble is, I don’t know which half (John Wanamaker)”.
Poi è arrivato internet con la possibilità di tracciare “tutto”.
Quindi le evoluzioni della web analytics hanno fatto venire l’acquolina in bocca per quello che concerne il capirci qualche cosa tracking.
Una delle massime espressioni è giunta infine con i social network e la necessità di misurarne il ROI (principalmente dovuta al fatto che ci spendiamo parecchio denaro tempo ed è la moda massa critica che ci guida spesso verso questi tipi di investimento).

C’è una corsa al calcolo del ROI. Matta e disperatissima.
Un atteggiamento che, dal mio punto di vista, spesso perde la visione d’insieme.

Una caccia così agguerrita all’ultimo KPI ha troppo spesso spostato l’attenzione da una metrica fondamentale: la brand awareness.
Non che non venga considerata, per carità, solo che troppo spesso le ho visto ritagliato addosso il ruolo di indicatore di performance di serie B; quell’asso che ti giochi quando la campagna non è andata benissimo, quasi a consolare i piani alti e salvarti il budget media anche per l’anno prossimo. Certe espressioni di certi responsabili mi sono rimaste nella mente.

Invece ci vorrebbe un atteggiamento più consapevole e convinto verso questo aspetto perché, benché anch’esso difficile da misurare, è probabilmente il valore che sedimenta nel tempo, che non si perde mai del tutto, che invecchia (e migliora) con il passare degli anni, che alle campagne future ci fa guardare con più serenità e speranza di risultati migliori. Calcolate l’estremo: che peso ha questa variabile per un brand “top of mind” ed uno appena nato?

Almeno mentalmente, dal mio punto di vista, quando si dimensionano i KPI al termine di una campagna e si procede con la misurazione del ROI, una piccola fetta dovrebbe essere consapevolmente fatta da parte e messa in un cantuccio per la brand awareness e le campagne che verranno.

È vero che la condizione ideale è quella per la quale non c’è, o non si sente, la pressione del tempo, ma è anche vero che i responsabili marketing sono chiamati a fornire le valutazioni su basi temporali definite.
Tra le due penso sia più corretto guardarla così: il ciclo di vita di un responsabile di qualche cosa è più breve di quello del brand stesso. Thus, take your time.

Ci vorrebbero più capitani e meno responsabili di qualcosa.

(benvenuto) Pubbliredazionale consapevole

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Dalla definizione di pubbliredazionale leggo: “è un’informazione pubblicitaria impaginata e redatta similarmente ad un normale articolo della testata giornalistica“. (fonte)

Già sappiamo cos’è successo: finalmente un altro spazio dove piazzarci della pubblicità; a differenza delle altre volte, però, dobbiamo fare lo sforzo in più di mimetizzarla per bene.

E siamo stati bravi in questo tant’è che, riprendendo dalla definizione, si continua a leggere: “Data la possibilità di confusione tra un normale articolo ed il pubbliredazionale, la legge preveda che venga dichiarato esplicitamente come pubblicità, attraverso la scritta “informazione pubblicitaria“. Addirittura una legge. Cvd.

Si era arrivati al punto per cui il messaggio pubblicitario doveva essere marchiato e ben riconoscibile onde evitare di mandare in confusione l’utente scambiandolo per un messaggio “normale”. Si era creato quindi un distinguo tra i due tipi di informazione che, non necessariamente, differivano tra loro solo per il fatto che dietro ad uno dei due c’era stata una manovra economica.
Che brutta reputazione questa pubblicità.

Oggi sembra che qualcosa stia cambiando (ne accennavo qui e qui).
Ho osservato principalmente due aspetti in tal senso:

. la pubblicità non si vergogna più di se stessa, ha fatto outing anche grazie ad una nuova presa di coscienza di se;
. sta provando a “vendere senza vendere” ovvero, vendere in una successiva istanza mediante una pubblicazione preliminare di contenuti utili, cercando quindi di garantirsi un posto nella memoria dei consumatori.

Non più, quindi, un cieco e continuo tentativo di vendere bensì un approccio orientato sì alla vendita che però prima passa per l’ascolto e la somministrazione di una soluzione.
Siamo ritornati un po’ alle origine quando le aziende nascevano, appunto, per risolvere problemi.

Penso che questo trend sia figlio di una crescente attenzione verso l’utente (che grazie ad internet ha più forza) ed il contenuto (il “nuovo” mezzo). Penso che questo approccio all’advertising sia un di cui del content marketing.

Pitch: come ho fatto

Mi sono preparato per un pitch.
Ho cercato spunti in rete su come strutturarlo; la mia esperienza va dalla formazione alla rendicontazione, per quello che concerne le presentazioni.
In quel caso dovevo presentare e convincere.
In due minuti.
Avevo bisogno di una mano.

Ho trovato una risorsa interessante dalla quale ho ricavato la seguente struttura:

. name and area of expertise;
. how you help;
. what you do;
. why you are different;
. call to action.

Circa le slide, intese come supporto, ho utilizzato solo contenuti visual che facevano riferimento esclusivamente a MOCA.

Questo l’ho ricavato da un paio di suggerimenti appresi nel corso del meeting annuale di Yamondo svoltosi a Pechino: metterci la faccia.
L’altro era introdurre le risorse (persone, skill, capacità) che sarebbero state messe a disposizione del cliente.

Possedere la materia

Penso sia fisiologico affrontare molte delle questioni che ci capitano quotidianamente con il punto di vista della nostra professione (leggasi, deformazione professionale).

Dal mio punto di vista però, possedere la materia non significa tanto conoscere fin nei minimi dettagli come sviscerare la nostra teoria nei vari contesti, bensì saper riconoscere il momento di quando non è opportuno usarla.